Abbiamo incontrato Angela Marchisio coordinatrice di un gruppo di volontari che insegnano la lingua italiana agli ospiti del Centro di accoglienza di via Corelli. Un’esperienza di vita da condividere e da sostenere.
Come e perché è nata questa esperienza di scuola per adulti stranieri all’interno del Centro di accoglienza di via Corelli?
Ho iniziato la mia esperienza di volontariato al mezzanino della Stazione Centrale in occasione dell’arrivo dei profughi siriani ai quali bisognava garantire una prima assistenza. Sono poi venuta in contatto con il direttore del Centro di accoglienza di via Corelli che, all’inizio, mi ha incaricato di immagazzinare una montagna di vestiti che erano stati raccolti a seguito di un appello del sindaco Pisapia. Nel Centro c’erano quattro stanze strapiene di abiti che, con l’aiuto di un gruppo di volontari, abbiamo smistato nel giro di due mesi. Nel corso di questa esperienza il direttore del Centro mi ha presentato un ragazzo originario del Gambia, apparentemente dell’età di 18 anni, che non parlava nessuna delle lingue a noi conosciute ed era assolutamente analfabeta. Il ragazzo era solo, spaesato, appena arrivato dalla Libia.
Nella piccolo biblioteca del Centro ho così iniziato a insegnargli la lingua italiana. Nel giro di una settimana si sono presentati spontaneamente altri ragazzi, al punto che abbiamo formato una classe di una quindicina di persone. Da lì è nata l’idea di organizzare una scuola di lingua italiana a cui hanno aderito altri insegnanti volontari. Eravamo nell’ottobre del 2015. Il direttore ci ha incoraggiato, sostenuto e stimolato a tentare questa esperienza.
A dicembre ero riuscita a mettere insieme un gruppo di una trentina di volontari. Il Centro ha finanziato un apposito corso di formazione che è stato organizzato dalla Rete delle scuole senza permesso che, nel territorio milanese, sono oltre 25.
Quando si sono avviati i corsi e come sono strutturati?
A febbraio abbiamo inaugurato la nostra scuola. Ora abbiamo due sezioni, una ospitata in un container e l’altra in una tenda. Gli ospiti del Centro sono stati tutti “esaminati” e suddivisi grosso modo in due gruppi. Nel container si svolgono le lezioni per gli ospiti che sono nel Centro da più lungo tempo. Alcuni di loro vivono qui da oltre un anno e tutti hanno richiesto asilo politico. Nella tenda invece si tengono le lezioni per i ragazzi arrivati più di recente.
Noi insegnanti abbiamo dovuto imparare tutto. Io, ad esempio, ho un ristorante e non sapevo come si gestisse una scuola. Con Silvana Strambone, che coordina con me questa esperienza e che è invece un’insegnante di professione, abbiamo deciso di rendere la partecipazione alla nostra scuola la più libera possibile, pur nel rispetto di alcune regole di base, anche perché qui il turnover è molto accentuato e soprattutto gli allievi meno scolarizzati fanno molta fatica a seguire un programma vero e proprio.
Abbiamo evitato una divisione rigida delle classi, limitandoci a creare gruppi il più possibile omogenei in base ai singoli livelli di preparazione. Esiste un gruppo di persone pressoché analfabete, mentre altri ragazzi, che hanno frequentato la scuola nel loro paese d’origine, sono stati inseriti in classi più avanzate. Qualcuno di loro, ad esempio, ha frequentato anche l’Università.
Il programma per tutti, a vari livelli, prevede l’apprendimento della lingua italiana.
Quante persone sono ospitate dal Centro e quali sono i principali Paesi di provenienza?
Alla fine dello scorso anno il Centro ospitava circa 300 persone, oggi sono quasi 450. Provengono in gran parte dall’Africa Centrale (Nigeria, Congo, Niger, Sudan ma anche Senegal e Costa d’Avorio), poi ci sono afghani, pachistani, qualche iracheno e qualche iraniano. I siriani ora non ci sono più.
Tutti hanno chiesto asilo politico e sono ora in attesa della decisione dell’apposita Commissione. A tutti però non verrà accordato l’asilo che viene di norma riconosciuto a coloro che provengono da paesi in cui ci sono guerre o situazioni socialmente pericolose. La risposta negativa si concretizza con il rilascio di un foglio di via che trasforma le persone immediatamente in clandestini a cui viene negata qualsiasi possibilità di restare nel nostro Paese.
Molti di questi ragazzi hanno un progetto, soprattutto quelli che giocano a calcio. Abbiamo organizzato una squadra grazie a un allenatore volontario peruviano, iscritto alla Federazione italiana allenatori, che li ha presi in carico e ha creato una vera e propria squadra del Centro che ha già vinto numerosi tornei. Molti di questi ragazzi erano nel loro paese giocatori professionisti o semiprofessionisti. Loro vorrebbero fare la carriera del calciatore ma purtroppo hanno già una certa età (intorno ai 20 anni) e sono quindi considerati “vecchi” per mirare a una carriera di calciatore in Italia.
Oltre tutto, la gran parte di loro proviene da paesi come il Senegal o la Costa d’Avorio per cui rischiano anche di ricevere una risposta negativa, essendo considerati semplici migranti economici e non politici.
Oltre all’apprendimento della lingua italiana, quali sono le richieste più frequenti da parte delle persone che frequentano la scuola?
La richiesta più immediata è relativa al lavoro. Occorre però spiegare loro che per trovare un’occupazione in Italia ci vuole, oltre alla buona conoscenza della nostra lingua, una preparazione professionale specifica. Diventa quindi particolarmente difficile per loro trovare un lavoro ed è impensabile che possano fare qui il lavoro che eventualmente facevano nel loro paese d’origine. Questa situazione porta spesso a momenti di malinconia e di demoralizzazione che spesso sfocia in depressione, dovuta anche all’inattività a cui questi ragazzi sono costretti.
Fortunatamente in questo Centro gli operatori sono molto presenti e ben motivati e i ragazzi sono liberi di uscire all’esterno, rispettando le relative regole, ma senza i permessi non possono certo trovare un vero lavoro.
Nel Centro ci sono anche una quarantina di giovani donne. Più aperte e disponibili al confronto le ragazze che provengono dall’Africa centrale, più riservate e schive le donne che vengono dai paesi arabi. Le ragazze africane frequentano volentieri la scuola, le altre tendono all’isolamento.
Quali storie raccontano gli ospiti del Centro?
Il viaggio di questi ragazzi attraverso l’Africa e la Libia è una vera tragedia ed è mille volte più difficile per le donne. I loro racconti sono veramente drammatici e angoscianti.
I ragazzi sono costretti, prima di intraprendere il viaggio verso l’Europa, a restare in Libia per lunghi periodi, anche tre o quattro anni, dove spesso vengono incarcerati, derubati e torturati. Le ragazze spesso sono stuprate e violentate.
In Libia vengono reclusi in prigioni costruite sotto le grandi fabbriche come i cementifici e lì accadono le cose più atroci. Una vita non vale nulla. Basta non tenere gli occhi bassi per strada per essere ammazzati.
Gli ospiti del Centro hanno tutti meno di trent’anni ma hanno già vissuto tutti esperienze terribili.
Quanti sono e chi sono gli insegnanti che prestano volontariamente la loro opera?
Gli insegnanti sono oltre 30 e sono tutti volontari, ognuno con una propria esperienza di lavoro, non necessariamente l’insegnamento. A settembre organizzeremo un nuovo corso di formazione dedicato a loro.
Come si fa fronte alle esigenze di carattere economico (acquisto di quaderni, libri, ecc.)?
All’inizio abbiamo avuto un concreto sostegno economico per l’acquisto dei libri dall’associazione SOSERM (quella che ha gestito l’emergenza siriana). Gli stessi volontari hanno acquistato quaderni, penne, lavagne e materiali vari e anche la direzione del Centro ha messo a disposizione risorse.
Qual è il tuo giudizio sull’esperienza in corso?
Una meraviglia. Ho capito che l’integrazione passa attraverso non solo l’apprendimento della lingua italiana ma soprattutto attraverso l’accoglienza e la disponibilità umana verso queste ragazze e questi ragazzi. Dobbiamo considerate loro come una vera risorsa e io mi auguro che lo Stato italiano posa capire questo valore. Mi auguro soprattutto che non ci siano accordi con la Libia. Sarebbe terribile.
(Massimo Cecconi) 10/06/2016
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