STAY HUMAN

Pubblichiamo qui di seguito alcune lettere di aggiornamento che ci invia, quando le linee di comunicazione lo consentono, una nostra compagna e insegnante della Scuola Abba Abdoul Guibre che si trova in Cisgiordania in questi giorni.

Segnaliamo inoltre il corteo di sabato a Milano e altre iniziative a sostegno del popolo palestinese.

APPUNTAMENTI A MILANO:
> Sabato 12 luglio 2014 in Piazza San Babila alle ore 18.00 parteciperemo al CORTEO per la Palestina
> Sabato 19 luglio 2014 sul tetto dello Spazio Micene alle ore 21.30 proiezione del FILM “Roadmap to Apartheid”
> Venerdì 25 luglio 2014 in piazza Selinunte alle ore 18.30 DIBATTITO sulla Palestina (all’interno del SanSiro StreetFestival)

a questo link tutti gli aggiornamenti sulla situazione in Cisgiordania su cantiere.org

10 luglio 2014, Betlemme
Sono le 11 del mattino in Cisgiordania. È salito a 76, il numero delle vittime dell’operazione “Protective Edge”, iniziata nella notte di lunedì e che sta colpendo Gaza senza soluzione di continuità. Sta notte, per tutta la notte, abbiamo sentito il rumore degli aerei da guerra israeliani. Si poteva quasi percepire lo spostamento d’aria. Il fiato trattenuto per un attimo, ogni volta, nella speranza di esserci sbagliate, di aver confuso quel suono per qualcosa che non era, una macchina, forse, che tornava dall’Iftar (la cena del mese di Ramadan), o qualcos’altro, qualsiasi cosa… Ma non c’è nessun errore, e allora ti assale ogni volta, come un nodo intorno alla gola, la consapevolezza che quel rumore significa un aereo che ha colpito o sta per colpire Gaza. L’ennesima casa distrutta. L’ennesima vittima. L’ennesimo ferito. È così ogni notte, da quando quest’operazione è iniziata. Quasi cerchi di andare a dormire per non pensare, per non sentire, ma ti svegli di soprassalto a un aereo più forte, che vola più basso, o al botto incessante dei lacrimogeni sparati dall’esercito nel campo profughi, dove ogni notte ci sono scontri, perché i palestinesi, soprattutto i più giovani, non vogliono arrendersi a questo finale della storia. E così resistono, ma “l’unica democrazia del Medio Oriente” è ben attrezzata. Una settimana fa l’esercito è entrato, di giorno, nel campo profughi di Aida, vicino a Betlemme. Lo ha fatto con una macchina sulla quale era posizionato un grosso cannone spara acqua, solo che quell’acqua ha un odore nauseabondo, che impregna i vestiti e i muri delle case e non va via, se non dopo molti giorni. Se respirato da bambini o anziani causa nausea, vomito, svenimenti. Se colpisce le piante le vedi avvizzire e morire in pochi giorni. È parte della politica della paura permanente, un ricordo olfattivo quotidiano dell’occupazione, come se il muro, l’esercito, gli arresti non bastassero.

Sta notte, a Gaza, gli aerei che abbiamo sentito hanno ucciso 15 persone di cui 4 bambini e 7 donne. La policy israeliana è quella di distruggere le case dei civili, perché è in queste case che, secondo gli alti ufficiali dell’esercito, si rifugerebbero i militanti di Hamas. Sono più di cinquanta le case distrutte completamente da uno degli oltre 700 raid dell’operazione “Protective Edge”, ma se si contano anche quelle che hanno subito gravi danneggiamenti si superano le 200 abitazioni.

La Striscia di Gaza è una delle zone più densamente abitate del pianeta, ma per l’esercito israeliano colpire case gazawi significa colpire obiettivi militari. Dimentichi che nelle case ci abita della gente, e che spesso i “militanti di Hamas” che vorrebbero colpire non sono tanto stupidi da dormire a casa loro. Dimentichi che, come in ogni città densamente abitata, le case sono costruite l’una sull’altra e che colpirne una significa anche colpire quelle adiacenti.

Quella che si sta consumando in Palestina in questi giorni non è una guerra, o un’operazione militare: è un genocidio. E chiunque lo neghi, con la retorica del legittimo diritto alla difesa di Israele per il lancio di razzi che non hanno -ad oggi- fatto né morti né feriti (a parte un soldato ferito molto lievemente), è in malafede. Senza neanche più il beneficio del dubbio.

Ma, nonostante questo, la negazione sembra un’epidemia molto diffusa ad ogni latitudine. La comunità internazionale si sta muovendo con la lentezza di un pachiderma, quando addirittura non sta completamente ferma, voltando tranquillamente la testa e riportando la sua concentrazione sui mondiali: l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha convocato per oggi (quindi al III giorno di bombardamenti incessanti) una riunione di emergenza, dalla quale con ogni probabilità usciranno con un documento molto diplomaticamente corretto sulla necessità di smettere con le violenze e riprendere i negoziati. Al-Sisi, presidente egiziano acerrimo nemico dei Fratelli Musulmani (di cui Hamas è l’emanazione palestinese), ha già detto che non farà da mediatore. Gli USA sostengono il diritto a difendersi israeliano. L’Europa è troppo concentrata a tifare la Germania in Brasile.

Mentre scrivevo queste ultime righe altri aerei sono passati sulla mia testa. Un altro respiro lento, profondo. Provare a non pensare a quello che, tra poco, si aprirà di nuovo su Gaza. Provare a restare umani.