Condividiamo la bella recensione scritta da una delle insegnanti delle nostre scuole a proposito del film La mia classe, di Daniele Gaglianone, e pubblicata da Arcipelago Milano:
Quella che vi propongo non è tanto una critica cinematografica, quanto il punto di vista sul film di chi le scuole d’italiano per stranieri le conosce piuttosto bene. Da circa una decina d’anni infatti sono impegnata come volontaria in una di quelle scuole chiamate “senza permesso”, situazioni fiorite numerose nel nostro Paese per offrire ai tanti migranti che non conoscono la nostra lingua un luogo di apprendimento ma anche di accoglienza e socializzazione.
Il film di Daniele Gaglianone rappresenta con realismo e freschezza quell’universo eterogeneo che sono le nostre classi, e i momenti divertenti o di grande emotività che costellano le nostre lezioni. Ha inoltre il grande pregio di dare un volto, e quindi dignità di persone con una propria individualità e una storia, a quelli che nel sentire comune sono genericamente dei personaggi: il marocchino, il nero, la badante … .
Bravissimo Valerio Mastandrea nel ruolo dell’insegnante, una parte difficile in un film in bilico tra realtà e finzione. Viene da pensare che il bravo attore romano in fondo non abbia recitato una parte ma sia stato più semplicemente se stesso, che si sia messo in gioco come persona così come facciamo noi nelle nostre classi. Molti insegnanti delle nostre scuole non lo sono di professione, devono inventarsi un mestiere e un metodo per una situazione che richiede una didattica completamente nuova e ancora tutta da esplorare.
Nella prima parte del film ho ritrovato quello che rende preziose le nostre scuole: il fatto di essere uno spazio nel quale i migranti, oltre a imparare l’italiano, ritrovano una propria individualità, la possibilità di esprimere vissuti sempre faticosi e spesso drammatici, di elaborarli comunicandoli. Un’occasione per stabilire relazioni personali anche con chi non appartiene alla propria comunità linguistica.
Il film, nato per raccontare le vicende di un professore d’italiano e della sua classe all’interno di un CTP (Centri Territoriali Permanenti di Istruzione e Formazione per adulti), cambia improvvisamente rotta di fronte al problema di uno studente/attore che, perso lo status di richiedente asilo e quindi il permesso di soggiorno, non può continuare a frequentare le lezioni e a recitare nel film. Sono momenti drammatici per la produzione e ben riflettono ciò che frequentemente succede nelle nostre classi quando simili difficoltà ci strappano al nostro ruolo d’insegnanti per chiederci un impegno diverso. Sì, ma quale?
Gaglianone ha il grande merito di esplicitare la lacerazione che avvertiamo di fronte alla necessità di rispettare una legalità che la nostra coscienza, la nostra umanità considera illegittima. È lo stesso dilemma che porta regista, operatori e segretari di produzione a uscire dalle quinte mettendo il proprio disagio sotto l’occhio della telecamera, trasformando il tutto in un film sul film.
Quel senso di smarrimento, di perdita di senso, di inutilità, è per noi insegnanti cosa nota; quell’impressione d’impotenza, quell’amarezza espressa a mezza voce da Mastandrea col suo “tanto non serve a un cazzo” è molto spesso la nostra amarezza. Ma noi continuiamo a far vivere le nostre scuole perché ci sembra comunque importante esserci, così come è stato importante fare un film come questo che non fa analisi politiche, non individua responsabilità, non offre soluzioni ma parla al cuore e alla coscienza, e aiuta a conoscere e a riflettere.
Forse è l’unico tipo di cinema militante che si può fare in tempi difficili e confusi come i nostri.
Tiziana Barletta