Il 21 e 22 giugno l’associazione Sheb Sheb e la Filef hanno partecipato a “L’estate al 42”, la festa del condominio di viale Bligny 42. E’ il famoso “edificio-mondo” di cui le cronache hanno a lungo parlato a sproposito. Per avere informazioni su questa realtà c’è la pagina Facebook B42 o il libro dell’antropologo Andrea Staid I dannati della metropoli.
Pubblichiamo alcune riflessioni scritte da Umberto, insegnante della rete SSP e fondatore dell’associazione ShebSheb.
PAROLE LIBERE SU BLIGNY 42
Non c’è niente da dire, passare due mezze giornate nel cortile di Viale Bligny 42 ti cambia un po’; nel senso che cambia l’angolatura da cui guardi la realtà che ti circonda. Provo a spiegare il perché:
Chi più, chi meno tutti ci impegniamo o lavoriamo nel sociale, attenti all’integrazione, alla coesione sociale, alla prevenzione delle situazioni di disagio, ma siamo sempre i “formatori”, gli “educatori”, i “mediatori” e, per quanto il rapporto con “l’utente” nel corso degli anni sia vissuto in modo sempre più partecipato, più in com-passione, nel vero senso del termine, più attento ad essere vissuto “alla pari”, rimaniamo sempre quelli che si impegnano dall’esterno per valorizzare, migliorare, modificare qualcosa della vita, appunto “dell’utente”. A fine giornata ciascuno di noi se ne torna a casa sua e chiude, fisicamente, (magari non se li toglie dalla mente) fuori dalla porta di casa gli “utenti” e il loro vissuto.
In Bligny 42 questo non succede e non può succedere. Chi fa parte dell’associazione “Bligny 42” abita quel palazzo, lo abita così come è e ha scelto di vivere lì. Ha deciso però di affrontare le difficoltà di vivere in un “edificio-mondo” in modo diverso.
Si è partiti da quelle che sono le normali regole del vivere insieme come “condomini”, rispettarle vuol dire rispettarsi reciprocamente, riuscire a vivere insieme indipendentemente da età, provenienza, lingua, colore della pelle, orientamento sessuale, lavoro più o meno lecito che si svolge nella vita di tutti i giorni.
Il risultato è stato stupefacente ed è arrivato dopo tre anni di lavoro e di oggettiva fatica.
In poche parole (non voglio affatto rifare un’indagine antropologica ed etnografica su Viale Bligny 42) in Bligny, prima, ciascuno si faceva i fatti suoi e chi “viveva” davvero le parti comuni dell’edificio era chi viveva la più forte condizione di disagio sociale: gli spacciatori (in prevalenza 20-30enni egiziani) e i transessuali – e non vi dico come le due categorie andassero d’accordo!!! Con l’inizio delle attività dell’Associazione i primi si sono via via coinvolti sempre di più nelle proposte di vita comune: dalla manutenzione dello stabile, alla raccolta rifiuti, ai momenti di svago. Rispetto a questi, sono passati, in tre anni, dall’ostilità alla diffidenza, al “guardare da lontano”, al partecipare non vedendo l’ora che arrivino i giorni delle feste. Mi sembra un risultato davvero non indifferente. Mi sembra l’essenza della vera e propria coesione sociale ed è stato fatto tutto a partire da pochi e semplici principi di convivenza, lontano dalla politica e dalle grandi teorie.
Mi si dirà: «Però spacciano lo stesso e delinquenti restano». Ed è qui che voglio fare lo sforzo di immedesimarmi in loro (e di egiziani un po’ me ne intendo) con l’impegno (che forse è la sfida più grossa) di mantenere la barra diritta e non cadere nel buonismo, e di rimanere quello che vuole lavorare davvero con loro e per loro mettendo a frutto le competenze e il ruolo di “operatore”.
Per due giorni i vari Ahmed, Mohamed, Hamada, Mahmoud si sono fermati a lungo vicino al nostro banchetto di Sheb Sheb ricco di sandali, foto dei laboratori di produzione, foto dei luoghi chiedendo informazioni, scambiandosi commenti e scegliendo con la massima cura il modelli di sheb sheb che tutti, e dico proprio tutti, si sono comprati (senza fare troppe storie sul prezzo!) e cercando di stabilire un contatto con noi.
Che tipo di contatto? Di certo un legame forte, per loro importante ma che non deve essere impegnativo. Il perché è presto detto: bisogna tornare a lavorare, e non perdere il filo di clienti e soldi da riscuotere è il primo e più evidente motivo; ma anche, e penso di non sbagliare: io vivo in Bligny 42, non esco da queste mura (che ormai ho più alte nella testa che nella realtà) perché fuori per me non c’è mai stato e mai ci sarà niente di buono, troppe volte sono stato illuso e fregato.
«Certo – mi si dirà ancora – tanti nostri utenti sono stati illusi e fregati ma non sono andati a spacciare: sono venuti a scuola, sono andati dall’avvocato del NAGA o di Todo Cambia, hanno cercato appoggi tra le varie associazioni». Ma la risposta è tremendamente semplice: non tutte le teste sono uguali e quindi hanno la stessa reazione per non farsi schiacciare dai soprusi del mondo di oggi.
Bisogna andare oltre, ma come? La risposta non ce l’ho, è tutta da cercare (insieme a chi vuole), di certo le attività dell’Associazione Bligny 42 danno un grosso impulso e vanno sostenute al massimo.
Per adesso ho imparato a rispettare questi ragazzi, coinvolgendoli, fin quando però non capisco che la loro vita ha delle “esigenze” che devono soddisfare e che li fanno scappare via, e allora non siamo i “Redentori” o “Quelli che risolvono i problemi del mondo” e dobbiamo lasciarli andare e lasciarli fare, senza giudicarli. Sono anche certo di una cosa, e in questi giorni l’ho provata, questo rispetto ti ritorna indietro con altrettanto rispetto. E già qualcosa, no?