Sette operai morti in un incendio più altri ustionati gravissimi in una azienda tessile di Prato; si aggiungono in questo 2013 ai 1.200 morti nel crollo dello stabilimento tessile in Bangladesh, ai nove in quello della torre di controllo nel porto di Genova: sono solo alcuni casi giunti alle tristi cronache, punta dell’iceberg del prezzo che la classe operai paga allo sfruttamento capitalistico in tutto il mondo.
Fuori dalle ipocrisie di rito, le morti sul lavoro finiscono sempre col rivelare che la cieca legge del profitto ha violato condizioni di sicurezza che a posteriori appaiono evidenti ed elementari, legge che non guarda in faccia a nessuno, sia questi indigeno o migrante sfruttato ai limiti dello schiavismo, sia che si tratti di tecnici altamente qualificati in una cittadella del maturo imperialismo europeo (Genova) sia che si tratti di operai a bassa qualificazione e bassissimi salari di un paese a capitalismo emergente (Bangladesh) o di una zona della ricca e progredita Toscana.
A queste nuove vittime di una società che non è fatta per l’uomo va il nostro cordoglio.
Per tutti i lavoratori quest’ennesima tragedia deve essere da stimolo per sviluppare la coscienza della necessità dell’organizzazione collettiva per lottare per un lavoro sicuro, per maggiore salario e per una società dove non sia più possibile lo sfruttamento di uomini da parte di altri uomini.